why should I lie?

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Sunday, August 19, 2012

ricordi 5

Perché poi a Lourdes cosa è accaduto? (1968)


L’assistenza tecnica ai clienti ricadeva nei miei compiti. E i vecchi clienti francesi si erano installati in montagna: in particolare nei Pirenei, zona tranquilla e ricca di elettricità prodotta in piccole centrali idroelettriche. Qualche volta era difficile raggiungerli. Gli stabilimenti si confondevano con le rovine degli antichi eremi e dei castelli costruiti sui Pirenei a difesa del regno di Francia ai tempi delle invasioni dei mori. Si respirava un’atmosfera da Orlando e relativi Paladini di Francia.
In genere, salendo in quota, si passava attraverso nuvoloni di marca francese per scollinare all’improvviso in un sole brillante e prati verdi di chiara marca spagnola. Non ho mai più visto montagne tanto double-face quanto i Pirenei.
In particolare, se dal lato francese salivi a dorso di mulo nell’anfiteatro di ghiaccio chiamato Cirque de Gavarnie, una volta superata l’ultima cresta - immaginate le arcate più alte del Colosseo - si intravedeva un falso piano d’un verde accecante punteggiato d’alberi d’olivo: la Spagna dei paesi Baschi o i Paesi Baschi di Spagna. Come preferite.
In quei tempi il Generalissimo impazzava ancora. La Spagna era veramente povera, ma era ricca in tradizioni, religione e relativi santuari, molti appollaiati sulla montagna: uno splendore nel sole splendente.
Attaccavo volentieri discorso con i doganieri spagnoli che mi consideravano una specie di controparte garantita in quanto figlio di un’Italia che aveva esportato il fascismo in Spagna. Tutto questo, ovviamente, per rispettare le apparenze. Finito il turno di guardia, capitava spesso che, qualora io scendessi dal lato spagnolo, ad esempio verso Pamplona, qualcuno di loro mi chiedesse un passaggio fino a valle. E in una mezz’ora si scambiano idee, opinioni, confidenze. Posso garantire che nel momento in cui il passeggero improvvisato scendeva dall’auto, il Generalissimo aveva cambiato completamente posizione in un eventuale album di figurine Panini. (In realtà, quando ero un po’ più bambino, non esistevano le figurine Panini. C’erano le figurine Fidass. Gli elementi più preziosi erano rappresentati con l’erbetta verde sotto i piedi. Arrivati a Pamplona, il povero Franco a malapena si sarebbe guadagnato la sabbia d’un deserto!)
Non sempre però si poteva giocare al turista: il dovere innanzi tutto!
E così una mattina d’inverno mi son ritrovato all’ingresso d’un piccolo stabilimento che in quel periodo della preistoria produceva ammoniaca, acido nitrico e nitrato ammonico.
Piove da dannati.
Alla registrazione in ingresso davanti a me c’è un signore che ha appena parcheggiato un’enorme Studebaker: Accanto a questa, la mia piccola Renault fa la figura d’un moscerino accanto all’ape regina.
Ricevuto dalla signora addetta alle registrazioni il modulo con cui - crocetta - “ci si impegna a...” - crocetta - “si rispettano...” - crocetta - “si declina...” - crocetta - “non si fotografa etc...”, il signore di cui sopra appone una croce bella, grande e precisa là dove, normalmente, si appone una firma.
Il signore riceve il suo ‘passi’ ed entra nell’area degli uffici della direzione.
La signora addetta alle registrazioni, che si ricorda di avermi già autorizzato all’ingresso in precedenti occasioni, nell’allungarmi il modulo da compilare, si sente in dovere di commentare. “Ma lo sa che quel signore è completamente analfabeta? Però ha tanti...e dico tanti...quattrini. E’ uno zingaro che commercia in rottami. Viene qui almeno una volta l’anno e compra tutto quello che viene scartato quando si fanno i lavori di manutenzione. Poi si presenta con un camion e porta via tutto.”
Piove da dannati.
Entro. Parlo con il capo della produzione. Insieme andiamo dal direttore dello stabilimento, che nel frattempo si è sbarazzato del ricco gitano. Non ricordo se in quell’occasione ho venduto qualcosa o ho semplicemente visionato le registrazioni dell’operazione dell’impianto.
Quando vado via piove da dannati.
La strada che mi sono programmato per il ritorno passa per Lourdes.
Piove da dannati e ho fame. Tanto mangerò a Lourdes.
Un Luna Park alle cinque di mattina d’un giorno di febbraio sarebbe certamente più vivo della cittadina che mi accingo ad attraversare.
Il caffé Santa Giovanna d’Arco è chiuso, così come è chiuso il ristorante San Giovanni Battista. Spero però che quel caffè che si annuncia con il nome della Beata Vergine possa almeno offrirmi una baguette con prosciutto o formaggio! No. Anche quel caffè è chiuso. Le strade sono vuote. Le insegne che ricordano un intero calendario, sono mendaci. Nessun santo è disposto a fare un minuscolo miracolo: un panino. Ora non chiedo di più.
Ho fame e piove ancora da dannati.
Esco da Lourdes. Mi riprometto di farmi promotore d’una campagna contro tutte le opere di pellegrinaggi e affini. Se non riescono a produrre neanche un panino, come possono promettere guarigioni, recupero della vista, riabilitazione di arti atrofizzati?
Ormai sono rassegnato al peggio. L’aeroporto è a più di 50 chilometri. Là ci sarà un bar aperto, spero.
La strada è più simile a un fiume che non a una statale. Mi concentro sulla guida dato che, pur con i tergicristalli al massimo, la visibilità resta scarsa.
Ma ecco che, tra un dest-sinist dei tergicristalli, sulla mia sinistra si intravede un cartello: “Au vieux moulin- Auberge”. Cinquanta metri e sbarco in riva al Gave, dove sorge una costruzione in pietra, costruzione che, a occhio e croce, risale al ‘500. Due auto parcheggiate. Luci all’interno. Parcheggio anch’io e spingo, dubbioso, una porta d’ingresso. All’interno una vera taverna! Quello che immagino sia il proprietario-gestore sta prendendo gli ordinativi di una famigliola chiaramente americana, famigliola che occupa uno della dozzina dei tavoli disponibili. Faticano un po’ a capirsi, ma l’aria palesemente disgustata del proprietario indica con chiarezza che c’è una certa differenza di opinioni in quanto alla scelta del menu.
Una volta annotate le ordinazioni, il proprietario-gestore, che in seguito si rivelerà anche cuoco, si guarda in giro e si accorge della mia esistenza. Sconsolato si avvicina al mio tavolo: “Anche Lei straniero?” Risposta: “Sì, italiano.” Il suo volto si illumina: “Allora vuol mangiare bene! Non aggiunga altro: ci penso io!”
E poco dopo si presenta con un’insalata di pomodori condita alla perfezione. Pensiero: ma in questa stagione ‘sti pomodori dove li ha trovati?
C’è una singola parete di vetro che separa la sala da una cucina splendente. Il gestore-cuoco mi mostra, accompagnandolo con un sorriso, il fegato d’oca intero che ha appena messo a sfrigolare in una padella di rame. Mi fa un segno d’intesa. Poi preleva una bottiglia di champagne, la stappa e comincia ad annaffiare allegramente il fegato che nel frattempo ha acquistato la prima doratura. Aggiunge infine fettine di mela seccata al focolare e ancora champagne.
“Non aveva ordinato il vino” mi dice il gestore e, insieme con il piatto di fegato d’oca, poggia sul mio tavolo la bottiglia di champagne con il prezioso liquido residuo. “E non mi dica che poi vuole il dessert, ché quello mi rifiuto di prepararlo!”
Alla fine del pranzo, a dir poco sublime, si presenta ovviamente con il conto. “Che ne dice della nostra cucina?”
“Posso solo dirle che prima di questo pranzo, io, uomo di poca fede, non credevo nei miracoli di Lourdes!”
Fuori però, piove ancora da dannati.
E all’aeroporto mancan sempre una cinquantina di chilometri.










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