why should I lie?

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Sunday, August 12, 2012

ricordi 3

I grandi segreti militari. Ovvero ”quanto me pesa quest'acqua oeh!” (1967)
Peccato di superbia: quanti di voi hanno avuto l'occasione di partecipare alla realizzazione d'un progetto strategico nel settore dell'energia atomica per un Paese che si considera, a ragione, all'avanguardia nel nucleare? Non credo molti.
Io, con un filino di fierezza posso rispondere: sì...ed erano addirittura i tempi "gloriosi" del général De Gaulle.
Tutto era cominciato con lo sviluppo d'una nuova tecnologia per la produzione dell’ acqua pesante, tecnologia che i francesi sostenevano aver creato e sperimentato nei loro centri di ricerca, mentre voci di corridoio la facevano risalire ai laboratori di ricerche nucleari di Tel Aviv. A me in realtà questo interessava poco in quanto io ero là per la fornitura e il montaggio di tre delle sette unità che componevano l'impianto. Per completezza d'informazione: non ero io che fornivo il complesso per la produzione dell’acqua pesante. Io ero solamente il responsabile del progetto e del montaggio in opera delle tre unità che ricadevano nello scopo di fornitura della società per cui lavoravo in quegli anni. Sì. Erano impianti tecnologicamente avanzati, realizzati con materiali d'avanguardia e collegati ad una sala controllo completamente elettronica e gestita da un computer, cosa che in quei tempi (a metà degli anni '60) appariva quanto mai futuristica. Una delle tre unità era proprio quella finale da cui ci si aspettava uscisse l’agognato prodotto.
Il committente? Beh, era una cosa complicata. Dietro c’erano ovviamente i militari, tanto che, ancora molti mesi dopo l’avviamento e la consegna dell’impianto, tutte le installazioni erano sotto l’alta sorveglianza del Ministero della Difesa francese.
La tecnologia utilizzata nell’impianto, francese o israeliana che fosse, era proprietà del Groupement Eau Lourde (GELPRA). Il processo di produzione si basava sullo scambio isotopico deuterio-idrogeno in ambiente di ammoniaca liquida.
Schematizzando: si prende il gas naturale e lo si fa reagire con vapor d’acqua, quindi con ossigeno. Si forma una miscela di gas contenente idrogeno, anidride carbonica e ossido di carbonio (ricordi di chimica? Vai!..). Dopo vari trattamenti, semplici ma costosi, comprendenti anche un lavaggio con azoto liquido, si arriva ad una miscela di idrogeno e azoto purissimi.
Con questa miscela, portata ad una pressione piuttosto alta, si produce l’ammoniaca. Fin qui il processo di produzione non differisce molto da quello utilizzato nel caso il prodotto desiderato sia l’ammoniaca stessa da cui poi si producono fertilizzanti per l’agricoltura ed eventualmente esplosivi di tipo convenzionale.
Se però si vuol produrre l’acqua pesante, si creano le condizioni perché il deuterio, contenuto in concentrazioni bassissime nell’idrogeno, si trasferisca prima dell’operazione di sintesi, dal gas nell’ammoniaca liquida dove sostituisce parte degli atomi d’idrogeno. Per questo occorre quello che si chiama un catalizzatore di scambio. Detto catalizzatore, disciolto nell’ammoniaca, compie la sua funzione di “spallone” trasferendo il famoso deuterio dal gas nella molecola del liquido. L’ammoniaca liquida, nella quale parte dell’idrogeno è sostituita dal deuterio, è ormai un’ammoniaca “appesantita”. Viene ulteriormente concentrata mediante distillazione frazionata così da arrivare ad un prodotto in cui la totalità dell’idrogeno è sostituito dal deuterio (ammoniaca pesante). Questa viene a sua volta “crackizzata”, che detto in parole povere, vuol dire scomposta nei suoi componenti:azoto e deuterio. L’azoto viene poi sequestrato per passaggio della miscela attraverso i cosiddetti setacci molecolari mentre il deuterio - che è combustibile come l’idrogeno - è inviato a un bruciatore a ossigeno. L’acqua prodotta, ormai pesante, viene condensata e inviata al serbatoio di accumulo.
La notte del 27 dicembre 1967 ho raccolto i primi due-tre centimetri cubi d’acqua pesante in una boccettina (in origine, aveva contenuto Chanel no.5). Dopo aver corredato il flaconcino d’un nastrino con il tricolore francese, l’ho portato nell’ufficio del direttore dello stabilimento, monsieur Bauche. Questi era lì che attendeva “la bonne nouvelle”. Mi ha abbracciato. L’emozione era tanta. Ci scommeterei che le sue lacrime di felicità erano in quantità superiore a quella del prodotto contenuto nella famosa Chanel no.5! (Anche perché ora si aprivano davanti a lui la luminose carriere di amministratore delegato, di consigliere d’amministrazione e di tutto l’ambaradam tipico della finanza francese).

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